lunedì, marzo 24, 2008

Tratto da La Briscola in cinque di Marco Malvaldi

Dal Capitolo "Inizio"
[…] Aldo si alzò in piedi per prendere l’accendino nella tasca del cappotto. Era il giorno di chiusura del Boccaccio e lui, vedovo spensierato e di compagnia, la sera andava al bar dove era sempre sicuro di trovare qualcuno.
- Il problema – disse mentre cercava di prendere l’accendino senza far crollare il cappotto dall’attaccapanni – è che tanti ragazzi ora si divertono solo se quel che fanno costa tanto. E’ sempre usato, intendiamoci. E’ un modo come un altro per fare i ganzi, far vedere che hai i soldi. Solo che le mode cambiano. Ora, per mia fortuna, va di moda fare finta di intendersi di vino, così tu vedessi quanti ragazzetti entrano nel dopocena, prendono la lista dei vini e poi ti chiamano: “Mi berrei volentieri un…” e magari ti scambiano il nome della fattoria con quello del vino, oppure vogliono un Chianti dell’ottantasette che se uno se ne intendesse un minimo saprebbe che un Chianti dell’ottantasette al massimo lo puoi usare come combustibile, e poi come se non bastasse ci mangiano i formaggi con miele. Il difficile è dargli ragione senza ridere.
- E te dovresti dirgli che non capiscono una sega – intervenne Pilade col garbo consueto – e poi spiegargli un po’ di cose ammodino, così piano piano imparano.
- Così piano piano imparano, si, ma ad andare da un’altra parte – replicò Aldo – Questi non vogliono bere bene e mangiare bene, vogliono far vedere che se ne intendono e che sono ganzi. Facciano un pò quello che vogliono. Io vendo vino e cibo, mica discorsi.
Una cosa andava riconosciuta; quando Aldo affermava di vendere cibo e vino senza fronzoli aveva perfettamente ragione. Il Boccaccia aveva a sua disposizione una cantina sterminata, con particolare predilezione per il Piemonte, una cucina eccezionale. Punto. Il servizio era preciso ma informale e la qualità delle suppellettili non era ricercata; inoltre, se per caso uno manifestava qualche disappunto riguardo al cibo, la cosa trovava sempre modo di arrivare all’orecchio dello chef de cuisine, Otello Brondi detto Tavolone. Detto personaggio, pur dotato di innegabile talento nell’arte apiciana, non era stato però molto benvoluto dalle Muse sotto tutti gli altri aspetti, per cui il critico si trovava spesso a lato del tavolo un metro cubo di pancia di cuoco, guarnito da due avambracci grossi e pelosi come orsi, che gli chiedeva “Come mai ‘un ti garba?” con non esattamente servizievole.
Aldo si accese la sigaretta, poi riprese:
- Io personalmente detesto i posti dove se ordini un vino non perfettamente in linea con quello che hai preso da mangiare o se tenti di uscire dai crismi della Gastronomia con la g maiuscola ti trattano da pellaio e ti dicono “Ma nooo, perché ti vuoi sciupare così la sella di coniglio disossato con il flan di fagiolini e anacardi? Se mi dai retta…” o anche peggio. Conosco posti dove non ci sono vie di mezzo, o sei un intenditore e allora il padrone ti adora e tutte le volte ti fa fare un’entrata che nemmeno Wanda Osiris, oppure sei un fetecchione che di vini non ci capisce una mazza e allora ti fanno capire nemmeno troppo velatamente che uno come te dovrebbe stare a casa sua e non andare lì a rompere tanto, che c’è gente che aspetta. I tuoi quattrini gli vanno bene, tu no.
[…]
Dal Capitolo "Quarto"
Il dottor Carli chiuse la porta che Ochei aveva lasciato aperta, salutò con un cenno le quattro facce concentratissime sui giornali, si diresse al banco e si sedette su uno sgabello.
- Me lo fai un aperitivo dolce, per favore?
- No
- Scusa?
- No, non glielo faccio. È una aberrazione mentale, l’aperitivo all’ora di pranzo. Magari alcolico, così uno comincia subito a bere a stomaco vuoto. Poi esce un pochino coi sensi offuscati, dai venticinque di aria condizionata trova i quaranta del marciapiede, accusa la botta e mi stramazza al suolo. Lei oltretutto è anche un medico, scusi.
Il dottore guardò Massimo con aria incuriosita, e decise di stare al gioco.
- E allora cosa mi consiglia, maestro?
- A pranzo, nulla. Casomai, a cena, dello spumante o dello champagne.
- Dolce?
Massimo portò la mano al petto e finse un infarto di lieve entità. Il dottore allora, mostrando preoccupazione, si accostò al banco e chiese:
- Perché? Non si può? È diventato illegale?
- Ma n, è che lo spumante dolce non si usa come aperitivo. A parte il fatto che, escluso l’Asti, di solito gli spumanti dolci sono dei troiai a livello qualitativo, ci vuole qualcosa che incuriosisca la bocca, non qualcosa che la ammazzi. Un buon brut ha le giuste caratteristiche, uno schiumante dolciacchiero no.
Il dottore parve soppesare con gravità la spiegazione, quindi si rassegnò a un bicchiere di minerale.

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